Il rapporto che in architettura lega forma e struttura è di particolare interesse sia nella ricerca sui temi del ‘non-standard’ (Migayrou 2003), focalizzati per lo più sullo studio della gestione parametrica del progetto, sulla fabbricazione a controllo numerico dei suoi elementi, nota come File-To-Factory o più recentemente Digital Crafting, e sull’implementazione di tecniche computazionali di morfogenesi, sia nella didattica del progetto, specialmente quanto l’integrazione tra progettazione architettonica e strutturale diventa il tema peculiare dell’esperienza di laboratorio. Studiare oggi il legame tra forma e struttura significa inevitabilmente confrontarsi con l’architettura ‘free-form’, nella quale l’aggettivo ‘free’ identifica la libertà di generare forme a prescindere da ogni principio compositivo, statico o costruttivo, come nel caso dei ‘blobs’ informi di Greg Lynn o della ‘transarchitettura’ puramente virtuale di Marcos Novak. In questi casi sembra che la necessità di recuperare un’integrazione tra i vari aspetti del progetto sia sempre più rilevante: com’era in quelle celebrate opere dell’ingegneria mondiale del Secondo dopoguerra, frutto di un processo creativo-generativo che saldava indissolubilmente il contributo disciplinare a quello della ricerca formale, purtroppo scomparse dal dibattito architettonico nell’arco di un ventennio. Le strutture a guscio del Kresge Auditorium di Saarinen, del 1954, della stazione di servizio BP sull’autostrada Berna-Zurigo di Isler del 1968, o ancora del ponte sul Basento di Musmeci del 1971, sono solamente alcune tra le opere esemplificative di questo periodo. Altri esperimenti vennero condotti ad esempio utilizzando le strutture spaziali, come nel caso delle cupole geodetiche di Fuller, o tensegrity e strutture reciproche. In altri casi ancora, come nella chiesa di Longuelo di Pino Pizzigoni del 1961, le potenzialità espressive dei gusci vennero unite a quelle di un telaio spaziale per concepire un edificio interamente realizzato col calcestruzzo armato (Deregibus et al. 2010). In generale, si trattava di un filone sperimentale che influenzò l’intero panorama architettonico, portando alla fondazione di centri di ricerca come l’”Institut für Leichtbau Entwerfen und Konstruieren” di Frei Otto o alla pubblicazione di testi teorici e didattici come “La concezione strutturale” di Torroja. L’abbandono della ricerca architettonica su queste tematiche è però principalmente dovuta ai limiti intrinseci dati dalle loro origini storiche. Se da un lato l’introduzione delle grandi strutture in acciaio nell’Ottocento ha portato alla nascita di studi prettamente ingegneristici su particolari tipologie di strutture spaziali, poi consolidati nel corso del secolo successivo, dall’altro il lavoro di Gaudì, basato sull’uso di modelli fisici per la ricerca di forma delle guglie della sua Sagrada Familia, è considerato il pioniere dello sviluppo del successivo ben noto ‘form-finding’ (Otto et al. 1996). E’ facile immaginare l’iniziale entusiasmo dei progettisti verso la sperimentazione in questo campo ma è altrettanto evidente come, vincolati da un lato dalla simulazione di particolari proprietà fisiche e dall’altro dalla difficoltà di rappresentare e gestire geometrie non regolari, essi venivano sempre ricondotti a ricercare le possibili soluzioni ad un problema di form-finding strutturale all’interno di una determinata famiglia di forme, rapidamente esplorate in sede progettuale, costruite più e più volte, ed infine divenute ridondanti e prive d’interesse. Solo il recente sviluppo di strumenti informatici per la creazione e la manipolazione di geometrie particolarmente complesse, insieme con lo studio di tecniche computazionali di ottimizzazione ingegneristica, ha consentito l’avvio di una nuova fase esplorativa in questo campo. A partire da queste premesse, l’attività del workshop di costruzione può diventare un interessante momento di sperimentazione didattica nel campo delle strutture resistenti per forma, ponendosi in una posizione strategica sia rispetto al più tradizionale studio del ‘form-finding’ sia alle più recenti tendenze del ‘non-standard’: lo studente è chiamato a confrontarsi con problemi costruttivi reali, ed è anche possibile immaginare una simbiosi maggiore tra didattica e ricerca in diverse modalità. L’obiettivo di questo contributo è quindi indagare, col supporto di alcune esperienze esemplificative degli autori, il potenziale dei workshop di costruzione nella didattica del progetto e nell’attività di ricerca scientifica, cercando di tracciarne possibili scenari per future esperienze con gli studenti di architettura.
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