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Accumulating small change

Accumulating small change

Accumulating small change

A small amount of order has come out of disorder, and no mind planned it.

Richard Dawkins, 1986

Lo studio delle tecniche evolutive artificiali è volto in gran parte al miglioramento dell’efficienza dello strumento di per sé. Cito oggi un libro di Richard Dawkins che riflette principalmente su questo tema, proponendo esempi e tesi interessanti. Mi preme soffermarmi su un capitolo specifico, dedicato allo studio della casualità e della mutazione nel processo evolutivo, come arricchimento dell’articolo dedicato al testo di Floreano e Mattiussi.

RICHARD DAWKINS, L’orologiaio cieco: Creazione o evoluzione? (The Blind Watchmaker)
Capitolo: L’accumulazione di piccoli mutamenti (Accumulating small change)

Il biologo Dawkins analizza in questo capitolo le tecniche evolutive, interessandosi principalmente ai mutamenti casuali nei codici genetici ed alle loro conseguenze sulla specie a distanza di parecchie generazioni. Dawkins riflette sul grado di casualità che rientra nell’evoluzione genetica (gestita appunto da un orologiaio cieco), analizzando come questo elemento possa nel tempo generare dell’ordine a partire da un iniziale disordine. Non si parla di riproduzione tra individui per il miglioramenti della performance, ma si sostiene unicamente la tesi della necessità del mutamento, e soprattutto dell’importanza dell’accumulare piccoli mutamenti, nell’evoluzione genetica.
L’autore propone degli esempi di algoritmi, a dimostrazione delle sue considerazioni, nei quali fa evolvere degli organismi in base a dei piccoli mutamenti del codice genetico originario invece che dall’accoppiamento tra geni di organismi genitori. Non vi sono quindi padri e figli, ma organismi normali e mutanti, tra i quali avviene la selezione per la trasmissione del codice genetico alla generazione successiva.
In questo processo è interessante notare come Dawkins ponga il metodo visivo come criterio di scelta (sopravvivenza) degli organismi, proponendo così l’occhio umano come indiscusso giudice della bontà (fitness) di ogni individuo. Si ricerca quindi una valutazione soggettiva basata su parametri estetici, derivati dall’iconografia umana. I risultati dell’evoluzione dopo parecchie generazioni raffigurano individui con sembianze biomorfe, prova inconfutabile dell’incidenza del criterio selettivo sul processo evolutivo, visto nel suo insieme. La persona incaricata di scegliere gli individui ha condizionato totalmente l’evoluzione con la sua logica propensione a preferire organismi capaci di richiamare alla mente immagini con un riferimento simbolico (forme già conosciute del mondo reale).
Per comprendere a fondo quanto sopra sostenuto è indispensabile toccare con mano il testo, e soprattutto guardare le immagini degli esempi trattati per comprenderne meglio i contenuti, ma per concludere si possono comunque riassumere delle considerazioni finali: lo studio del fenomeno evolutivo è molto utile su casi nei quali è nota una soluzione ottimale. Infatti la conoscenza del limite massimo a cui tendere permette di valutare l’efficienza dell’algoritmo genetico; la casualità e il disordine incidono sul processo evolutivo in quando sono creatori di organismi nuovi, potenzialmente più prestanti rispetto quelli esistenti; il vero criterio che definisce la convergenza evolutiva della specie verso una direzione piuttosto che un’altra è il metodo di valutazione e selezione degli individui; l’efficienza del processo evolutivo, in presenza di sola mutazione genetica senza accoppiamento tra organismi, viene enormemente incrementata dalla selezione cumulativa, cioè del “si riproduce a partire da”.

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